La malattia
Paolo Marin
Medico di Medicina Generale e Alzheimer
La malattia
L’Alzheimer è certamente una malattia che non colpisce una sola persona ma un’intera famiglia. Subdolamente la malattia si insinua all’interno della famiglia causando prima stupore poi,nel tempo,allarme e infine disperazione.
Solo col tempo,con la forza d’animo,con l’aiuto degli operatori e con un atto d’amore estremo si giunge all’accettazione ed al vissuto quotidiano.
Il medico di famiglia è, dovrebbe essere, parte del suo percorso di vita e di salute. Dovrebbe essere presente nel momento dello stupore, quando le lievi mancanze inaspettate ma troppo frequenti del nostro caro inducono a dubbi e incertezze.
Il momento della diagnosi è un evento centrale nella storia della famiglia Alzheimer. E’ il momento della confusione e della certezza nello stesso tempo:la confusione sul conosciuto e sugli equilibri fino ad ora vissuti e la certezza del dolore che attende.
Ma è anche un momento chiarificatore del troppo inspiegabile accumulato, dell’incertezza angosciante e destabilizzante. Al medico di famiglia viene chiesto di essere attore nello screening del sospetto, di selezionare con test semplici, ma affidabili e riconosciuti, i pazienti da inviare al secondo livello specialistico per gli approfondimenti.
E una volta avuta la diagnosi di certezza, di collaborare con l’Unità Valutativa Alzheimer territoriale per la presa in carico del paziente ed il piano di trattamento.
Belle parole ma che tradotte nel reale diventano solo buone intenzioni visto che,ad esempio, nel territorio del IV distretto della RMD (150 000 residenti) l’Unità Valutativa conta di un solo neurologo e di una borsista per i test.
E allora il medico di famiglia deve riempire gli spazi tra la diagnosi e le visite semestrali di controllo, spazi dove la famiglia viene lasciata sostanzialmente sola con problematiche fisiche e psichiche del suo membro (oltre che con quelle sociali e gestionali).
Riempire questi spazi vuol dire sapere dare risposte alle urgenze cliniche ma ancor prima avere sviluppato una sensibilità di cura che permetta di sostenere la famiglia in questo difficile cammino.
Una interpretazione difficile del proprio ruolo per il medico che si sente un po’ clinico ed un po’ consolatore,che vive nell’esiguità delle risorse efficaci la frustrazione del non poter dare miglioramenti. Una guerra di trincea quella alla malattia di Alzheimer, povera di soddisfazioni ed entusiasmi ma ricca di spessore umano e clinico nella sua durezza quotidiana.
Importante diventa la capacità di osservazione sui risultati delle terapie impostate dall’UVA per rallentare l’evoluzione della malattia. Osservazione che deve comprendere la valutazione dell’efficacia della terapia, ma anche la comparsa degli effetti collaterali con una rivalutazione complessiva almeno trimestrale nei riguardi dei parametri vitali,del peso, dell’appetito, dei sintomi correlabili a patologie ulcerative gastriche.
Ma ugualmente importante è la valutazione dell’andamento dei disturbi cognitivi e comportamentali del paziente. Quando i disturbi del comportamento diventano rilevanti, quando anche la notte diventa una battaglia,quando le persone d’ aiuto scappano, al medico di famiglia tocca il compito odioso di sedare il paziente scegliendo i farmaci che meno destabilizzino, ma che permettano, comunque,di andare avanti e che non saranno mai standardizzabili ma che dovranno essere scelti all’interno di quella famiglia e di quel caso, rispettando al massimo il vissuto e la storia di quelle persone.
Presa in carico totale, dunque, e quanto più possibile in relazione con i servizi assistenziali del territorio, nell’ottica di un sempre maggiore uso utile delle (poche) risorse disponibili. Nel contempo i familiari, i veri curanti, rischiano loro stessi di ammalarsi.
Essere vicini ai caregiver, saperli sostenere ed orientare, saperli fermare prima dell’esaurimento diventa un’operazione di cura che il medico di famiglia deve tenere in conto e che ha un’importanza non minore delle altre azioni di cura.
L’Alzheimer fa paura anche al medico. L’epidemia Alzheimer, per chi ne ha coscienza, spaventa ancora di più, in una realtà nella quale al medico di famiglia viene chiesto di prendersi carico di ogni cronicità , quasi che dicendolo magicamente si possa realizzare. Le cronicità, cardiache, respiratorie, neurologiche, oncologiche stanno per diventare un problema acuto e per poterle affrontare non a parole bisognerà dotarsi di idonei strumenti.
L’Alzheimer rappresenterà una delle sfide di cura più importanti per la medicina di famiglia e per la società tutta. Sfida che inevitabilmente si perderà, se non verranno create équipe territoriali, sufficientemente attrezzate in professionalità, e altre strutture leggere, e se non si instaurerà una forte collaborazione tra quanti (servizi pubblici, associazioni, privato sociale) devono e vogliono operare in quest’ambito.